martedì 18 giugno 2019

Valerio Orlandini_musica poetica

Intervista a Valerio Orlandini, grande artista dell'underground fiorentino con i suoi innumerevoli progetti, ideatore di Firenze Soundscapes e poeta.

1. Quando hai iniziato a comporre musica?
Ho iniziato intorno al 2003-2004, mi ricordo che le prime cose che misi in giro furono alcuni esperimenti noise ispirati da un disco in cui mi ero imbattuto al tempo, “Casus Luciferi” degli Abruptum, e che mi aveva dato delle idee semplici ma interessanti su cui riflettere e lavorare. Pongo però l’inizio effettivo della mia attività musicale poco dopo, intorno al 2005, quando iniziai a comporre il primo demo del mio progetto ambient Symbiosis (http://symbiosis.altervista.org), che sarebbe uscito l’anno successivo.

2. Dei tuoi tanti progetti qual è stato il primo? E' ancora attivo?
Come dicevo in precedenza, il mio primo progetto in assoluto è stato quello con cui proposi i primi esperimenti di rumorismo, si chiamava Stridor Absonus e intorno al 2007 una ormai defunta casa discografica DIY canadese pubblicò il secondo e il terzo lavoro su doppio CDR. In realtà ho pronto un quarto album (se così lo possiamo chiamare, sono 99 tracce di circa 4 secondi l’una, quindi dura pochissimo!) da un sacco d’anni, quindi in teoria è un progetto ancora attivo! Anzi, direi più che è un progetto che aspetta ancora il suo degno funerale, possibilmente su un bel supporto fisico…
A parte questo, riprendendo quello che dicevo nella risposta precedente, Symbiosis è stato il mio primo progetto “ufficiale”, e anche se attualmente non sto componendo nuove tracce, di sicuro il successore del terzo album Mikrokosmos (2016, https://symbiosisrealm.bandcamp.com/album/mikrokosmos) prima o poi vedrà la luce! È un progetto a cui sono molto legato e che negli anni si è evoluto in una direzione più astratta e sperimentale, seppur rimanendo sempre nell’alveo di quell’ambient dalle tinte invernali che è sempre stata la vocazione di Symbiosis.

3. Quali sono le tue principali influenze nel comporre musica? Hai anche influenze extra musicali?
Le mie influenze sono molte, e spesso nemmeno io mi ricordo quali sono. Mi piace ascoltare, vedere, leggere anche cose molto distanti da quello che faccio, e non per potermi vantare che “ascolto/leggo/ecc. di tutto” (cosa tra l’altro nemmeno vera), ma perché spesso la stessa idea può essere sviluppata in modi completamente diversi. Una lunga suite drone, un movimento di una sinfonia, un brano black metal e uno di vecchio blues possono comunicare le stesse sensazioni, come invece composizioni dello stesso genere possono veicolare idee, emozioni e messaggi completamente diversi.
Detto questo, musicalmente il mio imprinting più forte l’ho avuto dal black metal, di cui continuo ad essere un assiduo ascoltatore. Ho trovato nel black metal una tale varietà di suoni, di sperimentazioni e di atmosfere, che se di natura non fossi curioso e sempre interessato a stimoli nuovi potrei tranquillamente avere tutto quello che cerco in questo unico genere. Ma dato che non è così, mi piace rubare idee e tecniche da tanta musica elettronica, dalle prime sperimentazioni elettroacustiche fino alle ultime novità d’avanguardia. A questo aggiungerei senz'altro la musica barocca e medioevale e tutto ciò di inusuale si possa fare con chitarra basso e batteria. Di influenze extra musicali ne ho parecchie, soprattutto la poesia (specie italiana e tedesca) e talvolta cinema, pur non essendo un esperto in questo ambito.

4. Il Cinghiale è il tuo progetto a tema dungeon synth, genere musicale di cui ci siamo occupati in uno degli scorsi articoli. Cosa ne pensi della dungeon synth? E' ancora ricollegabile come la old school dungeon synth degli anni 90 al black metal e alla dark ambient?
È molto curioso aver visto in questi ultimi anni un rinnovato interesse in questo genere (che, ricordiamolo, prima della nascita del seminale blog “Dungeon Synth”, di solito si chiamava “ambient” e basta, anche se in effetti con la musica ambient non ha mai avuto un granché a che fare). Mi ricordo che quando mi appassionai alla musica di Mortiis (parlo della metà degli anni 2000) trovare persino i suoi dischi (per non dire quelli di progetti ben meno noti) era un’impresa ardua, che richiedeva estese ricerche sul web e non di rado aste su eBay combattute fino all'ultimo secondo. Con questo nuovo interesse nel genere finalmente molti progetti anni ‘90 hanno avuto la visibilità e la valorizzazione che si sono sempre meritati, e questo non può che essere positivo.
Tuttavia, purtroppo questo ha portato a una sorta di attualizzazione, e anche a una americanizzazione (la maggior parte dei nuovi fan del dungeon synth è degli USA), del genere che gli ha fatto perdere molto del fascino e del mistero che aveva un tempo. Non è un discorso banalmente nostalgico, è più che altro una constatazione che il dungeon synth “old school” era un genere legato a doppio filo al black metal e a tutte le sue peculiarità e contraddizioni. Non esisteva l'hype sui social network, non esisteva il politicamente corretto applicato persino a questi ambiti di ultra-nicchia (e notoriamente controversi su più fronti e piani), non c’era insomma tutta quella sovrastruttura che in fondo fa somigliare il dungeon synth a qualsiasi altra tendenza, che deve essere veloce, immediata e ovviamente non deve risultare “offensiva” per nessuno, sia mai… Un disco magari restava sepolto in poche distro per anni, e aveva tempo di crescere e diffondersi con un oculato passaparola, adesso se non scrivi ogni giorno che stai per finire un nuovo pezzo dopo una settimana nessuno si ricorda di te. Senza considerare che se un tempo qualcuno si fosse informato (come ho letto più di una volta) su eventuali progetti dungeon synth ispirati a Harry Potter avrebbe dovuto temere seriamente per la propria vita!

5. Puoi parlarci in dettaglio di Firenze Soundscapes? Di cosa si tratta?
Firenze Soundscapes (http://www.firenzesoundscapes.com) è un progetto a cui tengo molto: ho iniziato nell’estate del 2017 a registrare alcuni paesaggi sonori in centro a Firenze, per poi estendermi lungo tutto il territorio comunale. Lo scopo del progetto (che è in continua espansione) non è quello di trovare i “bei suoni” della città, ma piuttosto di fornire un equivalente di quello che è Google Street View, ma in ambito acustico. Non suoni eccezionali presi in occasioni particolari, ma i suoni che si possono ascoltare nella mia città tutti i giorni. La selezione su dove e cosa registrare riguarda solo questo: ad esempio, se un luogo è caratterizzato 6 giorni su 7 da un vivace mercato, eviterò di andare a registrare l’unico giorno che questo non c’è, viceversa se il mercato, invece, è solo una parentesi durante la settimana. Ovviamente le regole sono fatte per essere infrante, e non rinuncerei mai a catturare suoni insoliti per seguire con il paraocchi un metodo. Il senso, però, vuole essere questo: archiviare quello che sentiamo girando per Firenze e spesso ignoriamo completamente, magari proprio perché, a un primo distratto ascolto, non c’è nulla di inusuale.
Un primo bel risultato del progetto è consistito nella possibilità di scrivere una guida ai suoni di Firenze sul prestigioso sito Cities and Memory: https://citiesandmemory.com/florence-city-guide-best-sounds-florence/. Questo articolo è una vera e propria guida turistica (seppure estremamente succinta) di Firenze, in cui invece di consigliare cosa c’è da vedere, suggerisco cosa c’è da ascoltare.

6. Oltre ad essere musicista scrivi anche poesie. Ce ne puoi parlare? Quando hai iniziato questa attività?
Ho iniziato a scrivere poesie quando ero bambino, pensa che vinsi pure qualche premio nei primi anni ‘90! Poi per molto tempo lasciai completamente perdere la poesia (pur rimanendone un appassionato lettore), riprendendola solo negli ultimi 10-15 anni. Non di rado ho fatto incontrare la poesia con la musica, sia attraverso letture sonorizzate dei miei versi, sia con lavori solo idealmente ispirati a cose che ho scritto. Negli ultimi anni ho anche preso parte ad alcune antologie e ho pubblicato da me una breve raccolta, “Separazione dei Gemelli” (la cui versione digitale è scaricabile liberamente dal mio sito http://www.valeriorlandini.com). Nell'ultimissimo periodo ho lasciato un po’ da parte la scrittura e non so quando (e se) riprenderò a fare qualcosa, però le esperienze che ho potuto vivere grazie alla poesia e anche le molte persone che ho conosciuto sono senz'altro un tesoro che non smette di dare i suoi frutti.

7. Programmi per il futuro?
È sicuramente la domanda più difficile tra tutte! Sto lavorando a diversi progetti, musicali e non, e mi sto interessando a nuovi modi di sperimentare. Resto sul vago perché non so ancora se queste nuove ricerche mi porteranno a qualcosa di concreto, ma di sicuro mi daranno nuovi stimoli. Spero di concludere l’anno con nuovo materiale e magari di uscire non troppo tardi con un seguito del mio ultimo disco “7 Pieces” (https://valeriorlandini.bandcamp.com/album/7-pieces). Sto andando anche avanti con il progetto Firenze Soundscapes, che pian piano si avvicina al primo centinaio di registrazioni!
Di certo, quello che mi piacerebbe fare sarebbe collaborare con altri musicisti (e in genere artisti), per cui chiunque fosse incuriosito da quello che faccio, non esiti a mettersi in contatto!
Per restare aggiornati, sul mio sito http://www.valeriorlandini.com trovate tutte le informazioni, inclusi i link a social network vari.
Grazie mille!

lunedì 27 maggio 2019

Cineforum #3 - Mississippi Adventures (Crossroads)

di Nero Vanta Fancelli

Titolo: Mississippi Adventures (Crossroads)
Paese Di Produzione: USA
Anno: 1986
Soggetto: John Fusco
Sceneggiatura: Walter Hill
Regia: M. Walter Hill



TRAMA

Mississippi, presso un iconico incrocio sperduto nelle campagne; qui Robert L. Johnson (Tim Russ), futura leggenda del blues nei primi del Novecento, firma un contratto col Diavolo (Roberto Judd), acquisendo di conseguenza quel talento “maledetto” che, a seguito della sua prematura dipartita, influenzerà folte schiere di musicisti.

Giorni nostri: Eugene Martone (Ralph Macchio), ragazzo prodigio soprannominato “Talented Boy”, studia chitarra classica alla Juillard School, conservatorio realmente situato a New York; il suo sogno, benché osteggiato dagli insegnanti, è entrare nella storia recuperando e incidendo un pezzo perduto del proprio beniamino Robert L. Johnson; fortuna vuole che in gioventù quest’ultimo fosse amico di tale Willie Brown (Joe Seneca), suo compagno di avventure e disavventure ora relegato in un ospizio/carcere per omicidio, ciononostante l’unico in grado di aiutarlo nell’impresa.
Superate le profonde diffidenze dell’anziano, quest’ultimo decide di assecondare Eugene promettendogli l’agognato brano in cambio della libertà; una volta evasi, i due s’incammineranno alla volta del delta del Mississippi, laddove tutto ebbe inizio; malgrado le rosee aspettative di entrambi, lungo il tragitto molte verità mai davvero obliate torneranno lentamente a galla.

IMPRESSIONI

Questo film riprende uno dei tanti miti concernenti Robert L. Johnson, tra i quali spicca la vendita dell’anima al demonio in cambio di successo e gloria eterni, nondimeno inaugurando col sangue il famigerato Club 27.


Fresco del successo di Karate Kid (e pronto ad imbarcarsi nei fallimentari seguiti della suddetta saga), il giovane Ralph Macchio, alla stregua di Sean Penn in “Accordi & Disaccordi” (analizzato nel cineforum #1), dimostra di possedere ragguardevole dimestichezza nello strumento, sennonché la forza prorompente della storia va a mio avviso scemando pian piano fino a raggiungere sfumature poco credibili a causa di scene che a nient’altro servono se non ad allungare il brodo, di fatto rendendo al limite del forzato la sfida finale all’ultima nota e la sotto-trama amorosa del protagonista; e personalmente, dal regista e sceneggiatore de “I Guerrieri Della Notte (Warriors)” mi aspettavo molto di più.

Nero Vanta Fancelli

mercoledì 15 maggio 2019

Davide Valecchi_tra musica e libri

Nuova intervista questa volta a Davide Valecchi, la mente che si cela dietro al progetto AAl (Almost Automatic Landscape, chitarrista dei Video Diva, poeta e scrittore.

1. Ci sono stati altri progetti prima di AAL (Almost Automatic Landscapes)?
Ho iniziato a suonare musica elettronica nei primi anni ’90 e prima del mio progetto principale (AAL), ho fatto alcune cose in campo più propriamente industrial, con un progetto chiamato Diagonal Chains, le cui prime cose erano influenzate da Ministry, Nine inch nails, Pankow, Front 242, per poi evolversi verso territori meno “duri”, attestandosi dalle parti di Boards of Canada, Aphex Twin e Autechre. Avevo una pagina su Vitaminic con tre dischi del progetto e nel primo, quello più industrial, cantavo pure. AAL è stata la naturale evoluzione di Diagonal Chains, infatti quello che considero il primo brano di AAL (Crystal Waves, poi uscito nel disco “Disc1”) fu realizzato nel 2001 per una compilation online dedicata all’equinozio primaverile e contenente artisti che frequentavano la mailing list ufficiale dei Coil, ai tempi dei newsgroup. Nel 2001, poi, ho realizzato un album di jungle/drum’n’bass influenzato da Photek e Goldie, sotto il nome Solenoid, poi cambiato per motivi di copyright (esisteva già un progetto omonimo negli USA), in Solenoide.

2. Da poco è uscito il tuo nuovo album "trasparency" disponibile su Bandcamp anche in formato cd. Ce ne puoi parlare? Come è stato concepito questo album?
Dopo uno stop di dieci anni, dedicati ad altri progetti come la scrittura, le sonorizzazioni di eventi legati alla poesia e all’arte, e le attività con altre band (Downward Design Research, H2R, Video Diva), nel 2017 ho deciso di riesumare il progetto AAL e di dedicarmici con nuova passione. Ho quindi raccolto le cose migliori del materiale registrato nel decennio 2007—2017 e le ho incluse nel disco “a season”, uscito nel dicembre 2017. Quel disco, nelle mie intenzioni, doveva essere una sorta di “chiusura del cerchio” del passato di AAL, un “tirare le somme” per ripartire di nuovo, cambiando. “a season” infatti contiene le diverse anime che fino a quel momento avevano fatto parte di AAL e cioè ambient, sperimentazione, drone, field recordings, musica acusmatica, improvvisazione e manipolazione di fonti sonore disparate. Il nuovo disco “transparency” inaugura un nuovo corso per AAL, una nuova stagione musicale “trasparente” dove la melodia e l’armonia sono alla base di strutture sonore di ampio respiro, stratificate, cinematiche ed evocative, che vorrebbero andare incontro alla luce, piuttosto che all’oscurità. “transparency” è un disco ambient in tutto e per tutto. Il disco è nato nelle ore notturne di marzo 2019. Inizialmente le musiche che compongono “transparency” erano state pensate per una performance dal vivo, ma, riascoltando le registrazioni, mi sono reso conto che quello era davvero il “nuovo suono” che stavo cercando da mesi, per cui ho sentito che era giunto il momento di realizzare un nuovo disco. Il concetto di trasparenza si esplicita anche nelle grafiche del cd, dove predominano il bianco e i colori tenui. La copertina raffigura due diversi istanti della fase finale della vita di un fiore (un tulipano), fotografato contro il bianco del cielo. Pur morendo il fiore non cessa di emanare bellezza, anzi: nelle fotografie (scattate da Beatrice Ciabini), il fiore sta già diventando incorporeo, trasparente appunto, trasfigurato, già avviato a essere una sola cosa con la luce.  

3. Qual è stato il tuo primo contatto con la musica?
La musica fa parte della mia vita praticamente da sempre. Penso che il primo brano musicale che mi ha fatto presagire l’esistenza di un altrove musicale sia stato “Legion of Aliens” dei Rockets, b—side del 45 giri “Electric Delight”, uscito nel 1979, quando avevo 5 anni. Lo ascoltavo in continuazione. Come musicista ho invece iniziato a suonare il pianoforte classico all’età di 11 anni, per poi passare alla chitarra (prima classica, poi elettrica) qualche anno dopo. Nei primi anni ’90 ho cominciato infine a interessarmi di sintetizzatori, sampler, sequencer e computer music.

4. Sappiamo che sei anche scrittore. Quando hai iniziato questa attività? Quanti pubblicazioni hai all'attivo?
Scrivere è sempre stato uno dei miei sogni, fin dall’adolescenza. Inizialmente volevo diventare scrittore di romanzi di fantascienza, ma, nel 1993, durante il periodo in cui avrei dovuto studiare per l’esame di stato, mi sono messo invece a scrivere poesia, influenzato dal grande Novecento poetico italiano: Montale, Luzi e Fortini su tutti. Dopo anni di scrittura poetica portata avanti quasi in segreto, con sporadiche pubblicazioni private regalate a pochissimi amici, ho cominciato a pubblicare online qualche mio testo nei primi anni duemila. Nel frattempo ho avuto modo anche di provare a scrivere fantascienza e di partecipare al Premio Urania 2010, arrivando nella rosa dei dieci finalisti, con il romanzo L’Archivista, scritto in collaborazione con Paolo Frusca. In disaccordo su alcune soluzioni narrative, ho poi ceduto amichevolmente le mie parti a Paolo Frusca, ma il romanzo è rimasto inedito. Nel 2011 è uscita la mia prima pubblicazione ufficiale, la raccolta poetica Magari in un’ora del pomeriggio (Fara Editore, Rimini). Del 2017 è invece la raccolta poetica Nei resti del fuoco (Arcipelago Itaca, Osimo). Diversi miei testi, compresi alcuni racconti, sono poi usciti in varie antologie cartacee per editori diversi. Dal 2017 infine ho iniziato una collaborazione come traduttore dalla lingua inglese per l’editore romano Newton Compton e a oggi ho all’attivo la traduzione di tre romanzi e di un saggio. Il più recente è Cospirazione Cremlino di Joel C. Rosenberg (aprile 2019), un fantathriller politico.

5. Dal 2003 sei chitarrista dei Video Diva. Cosa ci racconti di questa esperienza?
I Video Diva sono un gruppo storico della mia area e prima di diventare il loro chitarrista sono stato un loro fan. La band esiste dal 1999 e ricordo ancora bene il loro primo concerto allo storico locale Samantha di Dicomano, a cui ero presente. I Video Diva nascono con forti influenze new wave, gothic rock e post-punk a cui si unisce l’elettronica e una cura speciale per i testi, in italiano, che uniscono ricerca letteraria e denuncia sociale. Al di là della musica elettronica, come chitarrista e come semplice ascoltatore di musica, ho sempre amato quella stagione musicale che comprende Bauhaus, Cure, Joy Division, Sisters of Mercy ma anche Neon, primi Diaframma e primi Litfiba, tutte band le cui influenze sono alla base della nascita dei Video Diva, per cui, quando ho finalmente avuto la possibilità di suonare con loro, mi sono sentito subito a casa, sia umanamente che musicalmente. Dopo alcuni cambi di formazione e anni di autoproduzioni, i Video Diva approdano finalmente, nel 2016, alla casa discografica italo—svizzera Swiss Dark Nights, punto di riferimento per il gothic rock europeo. L’ultimo studio album è s(à)crata, del 2017. Al momento il gruppo sta scrivendo il materiale per un nuovo album.

6. Quali sono le tue influenze musicali principali? E quelle non musicali?
Amo tutta la musica, per cui anche le influenze sono molteplici e di generi molto diversi tra loro. Faccio qualche nome di artisti che amo, senza un ordine preciso. Coil, Klaus Schulze, Aphex Twin, Boards Of Canada, The Church, Nine Inch Nails, Ministry, Bon Iver, Black Sabbath, Motorhead, CCCP, Slayer, Iron Maiden, Napalm Death, Godflesh, Scorn, Brian Eno, Duran Duran, Ride, The Jesus and Mary Chain, Rockets, The Dream Syndicate, The Smiths, David Bowie, David Sylvian, Japan, Miles Davis, Thelonious Monk, Sonny Rollins, John Coltrane, Don Cherry, Kenny Wheeler, Fulvio Sigurtà, Blood Orange, Ambrose Akinmusire, Chet Baker, Enrico Pieranunzi. Mi fermo perché la lista è giù lunga ma potrebbe continuare ancora a lungo.
Per quanto riguarda le influenze non musicali che comunque confluiscono nella mia musica sicuramente posso citare la letteratura, in particolare la fantascienza, e la poesia. Per il resto potrei citare anche il sole, il vento, i cipressi, il tramonto, i boschi di castagni, l’ombra della luna piena, il silenzio, lo sguardo di un cane e il suono della ghiaia schiacciata dalle ruote delle auto e molte altre cose ancora, che, direttamente o indirettamente, influenzano le mie percezioni, i miei pensieri e che possono ritrovarsi nelle mie varie manifestazioni artistiche, consapevolmente oppure no. 

7. Scrivendo ti ispiri a qualche scrittore in particolare?
Per la poesia, inizialmente, ero influenzato dalla stagione ermetica, e da Montale, Luzi e Fortini soprattutto. Ho mantenuto un gusto per l’endecasillabo sciolto, che anche sonoramente richiama quella stagione della poesia italiana, anche se dopo il primo libro ho cercato di non fossilizzarmi troppo sulle forme metriche, cercando di prediligere piuttosto un’unità sonora e ritmica personale, slegata dalle tradizioni. Negli ultimi anni posso dire di non avere avuto influenze particolari in poesia, corroborato anche dal fatto che ben poco di memorabile è stato scritto in Italia negli ultimi dieci anni, fatto salvo alcune eccezioni (i primi nomi che mi vengono in mente: Massimiliano Chiamenti e Marco Giovenale). A livello di tematiche permane un’influenza mutuata da altre letterature, come quella fantascientifica, sempre presente, in particolare da scrittori che hanno travalicato i generi come John Crowley e Thomas M. Disch, o da altre esperienze di scrittura assolutamente eccellenti, contemporanee e non, come quelle di Marcel Proust, Thomas Bernhard, Roberto Bolaño, Mircea Cartarescu, Tommaso Landolfi, Lalla Romano, Paolo Volponi, Gesualdo Bufalino e tanti, tanti altri. 

8. Hai qualcosa in programma per il futuro?
Sono sempre coinvolto in molte cose e molti progetti. Non tutti si concretizzano, ma una buona parte sì. I progetti che vedranno sicuramente la luce sono i nuovi dischi di Video Diva e AAL, presumibilmente nel 2020, così come una mia nuova raccolta poetica. Voglio poi realizzare un album di musica elettronica IDM, anche se per questo progetto non ho ancora deciso quale nome utilizzare, cioè se farlo ricadere sotto la sigla AAL oppure dare vita a un nuovo progetto. Anche questo immagino vedrà la luce dal 2020 in poi. E poi il progetto che ormai ho in cantiere da anni, e per il quale non so davvero indicare una data di realizzazione, ma che, sono sicuro, si concretizzerà, prima o dopo: un romanzo o comunque un libro contenente scrittura che possa definirsi narrativa.

giovedì 11 aprile 2019

Cineforum #2 - The Devil's Carnival/Alleluia! The Devil's Carnival

di Nero Vanta Fancelli


Titolo: The Devil's Carnival/Alleluia! The Devil's Carnival
Paese di produzione: USA
Anno: 2012-2015
Soggetto: Terrance Zdunich
Regia: Darren Lynn Bousman


TRAMA

A distanza di quasi due anni, riprendo oggi in mano una vecchia recensione redatta il 14/01/2017 di un musical / horror composto (al momento) da due capitoli, "The Devil's Carnival" e "Alleluia! The Devil's Carnival", rielaborandola e aggiungendo informazioni.

CAPITOLO I: “The Devil’s Carnival”.

Della durata di appena un'ora, il mediotraggio si fa carico d’una funzione prettamente descrittiva introducendo allo spettatore tre protagonisti atti a svolgere tale mansione: John (Sean Patrick Flanery), padre distrutto dalla morte del figlio Daniel, Ms. Merrywood (Briana Evigan), ladra di gioielli, e Tamara (Jessica Lowndes), adolescente.
Tre strade che mai potrebbero incontrarsi e che invece trovano traguardo comune: la morte, ciascuno per un motivo diverso.
Giunti inesorabilmente all'Inferno, qui appunto rappresentato come un immenso circo ricco di attrazioni, colori e dettagli, e fatte presente loro le ferree regole a cui dovranno sottostare, vagheranno tra i numerosi tendoni inconsapevoli d’esser trapassati a peggior vita, venendo costretti dai numerosi demoni a reiterare i peccati per i quali si sono allontanati dalla salvezza eterna e di conseguenza meritando la giusta punizione.
Nel mentre, il Diavolo in persona segue l’errare delle suddette anime dannate, affine in alcuni passi a determinate favole di Esopo, sennonché, accortosi d’aver commesso un clamoroso granciporro, sarà costretto a fare un passo indietro; ma ecco che l’errore gli dà un'idea geniale per invadere il Paradiso.

CAPITOLO II: "Alleluia! The Devil's Carnival".

Secondo atto, film a tutti gli effetti.
Artefatto: quivi narrata la tragica nascita di Painted Doll, alias June: in origine avvenente ragazza, una sorta di “stagista celeste”, si avvicinerà troppo all’ala interdetta della libreria del Paradiso, entrando così in possesso di volumi proibiti; tradita da chi meno si sarebbe aspettata, la sentenza non tarderà a giudicarla colpevole: scaraventata nelle viscere della Terra e rimasta sfregiata in volto, sarà lei a suggerire ad un giovane Lucifero l’idea di riformare l'Inferno quale circo.
Nondimeno, questo spiacevole evento mette in cattiva luce la figura dell’Onnipotente (Paul Sorvino), che riesce a spostare gran parte del consenso in direzione della propria nemesi per antonomasia.
Presente: Il Diavolo e Dio stanno preparandosi ad una battaglia senza esclusione di colpi e Painted Doll ricoprirà un incarico fondamentale nell’attuare i piani di conquista.

IMPRESSIONI

Un musical ambizioso, superbo nelle sue composizioni musicali e testuali ad opera di Saar Hendelman e Terrance Zdunich (peraltro soggettista e attore nel ruolo del Diavolo), e assolutamente piacevoli le caratterizzazioni, strutturalmente ben concepite nel loro saper esaltare ogni singolo personaggio.
Nomi importanti della scena musicale odierna, quali la “bambola” Emilie Autumn (cantante, polistrumentista eclettica e poetessa, forse musa ispiratrice delle scenografie e dei costumi, dacché già presenti nei suoi concerti dal vivo nonché parti integranti della sua personalità), il “bibliotecario” Tech N9ne (rapper statunitense) e molti altri ricoprono spazi nevralgici nella ventura battaglia tra Sacro e Profano, due schieramenti ambigui sin da subito nei quali risulta difficile individuare un antagonista; eppure, privi del CAPITOLO III, ci dovremo accontentare dell’attesa del piacere.

Questo almeno nel 2017, poiché voci di corridoio hanno lasciato trasparire certe indiscrezioni a proposito del seguito finale!
Darren Lynn Bousman... forse sconosciuto ai più; ma se vi dicessi che nella sua filmografia figurano Saw II, III e IV?

Nero Vanta Fancelli

lunedì 11 marzo 2019

Cineforum #1 - Accordi e Disaccordi

di Nero Vanta Fancelli


Titolo: Accordi & Disaccordi (Sweet And Lowdown)
Paese di produzione: USA
Anno: 1999
Regia: Woody Allen




TRAMA 

Falso documentario incentrato sulla breve ascesa e l’improvvisa scomparsa dal palcoscenico di Emmet Ray (Sean Penn), personaggio fittizio modellato quale eterno secondo sulla figura del chitarrista jazz di origine sinti Django Reinhardt, lo stesso Woody Allen tenta di ricostruirne la carriera che lo vide attivo negli anni ’30, costellata di licenziamenti e casuali colpi di fortuna.
Istrionico artista con un travagliato passato alle spalle e dall’enorme talento musicale che ciononostante, a causa della sua tetragona attitudine a voler essere amato senza amare, gli impedisce di primeggiare sul rivale francese (lo “zingaro”), Emmet scarica tali frustrazioni in attività ludiche bizzarre, alcolizzandosi, scialacquando il poco denaro a sua disposizione in regalie e beni di lusso nonché approcciando qualsiasi donna gli susciti interesse.
Durante uno dei suoi numerosi rapporti occasionali, ecco entrare in scena Hattie (Samantha Morton), lavandaia muta con qualche rotella fuori posto che, per quanto impossibilitata a comunicare, riesce ad allacciare un rapporto speciale col protagonista, tuttavia recalcitrante all’idea di “aprirsi”, dacché fermamente convinto dell’idiosincrasia che intercorre tra sentimento e successo; questione protratta e spalmata su tutta la pellicola, sarà questa a decretare l’inizio/fine del protagonista.


IMPRESSIONI

Una storia amara, velata da un umorismo sottile che lascia costantemente trasparire la tragedia che si consumerà sul finale (abbastanza scontata), purtroppo necessaria alla maturazione stilistica di Emmet, benché fugace e priva di risvolti sostanziali (come specificato nei titoli di testa).
La strategia dell’intervista direttamente a Woody Allen e ad altri testimoni si può ritenere geniale e al contempo “furba”: potendo contare sul sentito dire e punti di vista differenti, qualsiasi colpo di scena poco credibile o leggermente forzato trova legittimo espediente, possa questo più o meno piacere; inoltre, lascia dubbia la reale esistenza del personaggio.
Rimarchevole la performanza di Sean Penn (candidato agli Oscar assieme a Samantha Norton), a cui il regista, grazie ad un “gioco” registico improntato sull’attesa, dà la possibilità di mostrare al pubblico che ha acquisito davvero dimestichezza con lo strumento (al contrario di Tim Roth e Clarence Williams III ne La Leggenda Del Pianista Sull’Oceano), acciocché “l’amore” tra i due potesse definirsi in qualche modo reale e non pura finzione; dunque un plauso a Howard Alden, suo mentore, esecutore delle parti di chitarra solista della colonna sonora basata su brani originali di Django Reinhardt e Eddie Lang, riarrangiati e diretti da Dick Hyman. 
Aspetto su cui invece soffermarsi, il doppiaggio: soprattutto nella disamina dei resoconti dei testimoni, le voci, in particolar modo quella di Oreste Lionello, paiono “scollegate”. 

Nero Vanta Fancelli

martedì 26 febbraio 2019

Musica e linguistica nel Paleolitico: influssi e contaminazioni


Musica e linguistica nel Paleolitico: influssi e contaminazioni
di Andrea Guerriero

Citando un famoso passo di Schopenhauer, la musica “esprime, con un linguaggio universalissimo, l’intima essenza, l’in sé del mondo (*1)”. Essa è il linguaggio universale, ciò che permette di comunicare a culture e persone differenti emozioni e pensieri, pur parlando lingue diverse. Ma qual è il suo ruolo nella storia della creazione dei linguaggi? Agli albori della civiltà, in che modo la musica ha influito nella nel processo di socializzazione, e come ha influito nella costruzione del dialogo?
È pressoché impossibile sapere se nacque prima la musica o la lingua. Varie sono le teorie legate alla diffusione di un sistema linguistico tale da permettere una trasmissione del sapere e della conoscenza. Secondo la maggior parte degli studiosi, già nel 50.000 a.C. esistevano lingue abbastanza articolate da permettere all’uomo di intraprendere colonizzazioni e replicare con grande precisione utensili, anche se per prudenza è forse meglio continuare a parlare di proto-lingue (*2). D’altronde, le fonti scritte più antiche che possediamo sono relativamente recenti, quindi è difficile ricostruire nel dettaglio i primi stadi della lingua parlata. 
Si dovrà attendere ancora molto per avere sistemi linguistici complessi (come ad esempio quello sumero), oltre che le prime fonti scritte: è però certo che proto-linguaggi abbastanza articolati vennero formandosi almeno 20.000 anni prima. Alcuni studiosi pensano che le grandi migrazioni del Paleolitico sarebbero state impossibili da mettere in atto senza una lingua abbastanza evoluta da poter essere usata per gestire eventi di tale portata (*3). È inoltre possibile che gli stessi Neanderthal adottassero rudimentali sistemi linguistici, abbastanza evoluti da permettere comportamenti sociali avanzati. Si è ipotizzato che la trasmissione di concetti e informazioni più evoluti fosse messa in atto inizialmente tramite un’evoluta lingua dei segni (*4).
Durante il XIX secolo, alcuni musicologi hanno iniziato a teorizzare come fosse nata la musica. Herbert Spencer ipotizzò che la musica giocasse un ruolo importante nei linguaggi, rendendoli più chiari e pragmatici. Questa tesi venne dibattuta da Darwin, convinto sì che le lingue derivassero da antichi sistemi musicali, ma anche che la musica giocasse un ruolo sociale simile al canto degli uccelli, legato principalmente alla riproduzione. Egli, infatti, sostenne che l’uomo primitivo usasse la voce per produrre delle cadenze musicali, utili specialmente nelle fasi di corteggiamento per esprimere un range di emozioni varie: dall’odio, all’amore, gelosia e trionfo. È quindi possibile, secondo questa teoria, che l’uomo sia riuscito a strutturare dei sistemi linguistici partendo proprio dal canto, cercando di dar voce alla sua sfera emotiva (*5).
È impossibile riuscire a ricostruire la nascita e lo sviluppo delle prime concezioni musicali, dei primi strumenti e dei primi “musicisti”. Non esistono notazioni nelle raffigurazioni parietali, e misere sono le tracce lasciate dai primi uomini riguardo all’argomento. Recentemente, alcune interessanti scoperte stanno però dando modo di approfondire gli studi sulla musica del Paleolitico. L’eccezionale ritrovamento di un flauto d’osso (di avvoltoio) nel 2008 ha rivoluzionato la concezione sull’argomento. La porzione intatta dello strumento misura all’incirca 20 cm, includendo anche la parte utilizzata dal suonatore per soffiarci dentro, e reca cinque fori. Grazie ad alcune ricostruzioni effettuate, è stato possibile ascoltare lo strumento, che sorprendentemente genera una sequenza di note molto simile ai flauti odierni. La datazione sembra relegare il flauto ad un periodo oscillante fra i 40.000 e i 35.000 anni fa (*6). Le precedenti scoperte in ambito di strumenti musicali (altri flauti, fatti con avorio di Mammoth e ossa di altri animali) facevano parte di corredi molto più recenti e di difficile datazione.

Fonte: H.Jensen/University of Tubingen

È interessante provare ad immaginare il percorso che ha portato al compimento di questi strumenti: uomini che, ammaliati dalle melodie del mondo animale e della natura in generale, cercano di ricreare quelle tipologie di suoni grazie alle loro conoscenze acquisite nella lavorazione di ossa e pelli, cercando di ampliare il loro range espressivo, basato esclusivamente sul canto. Il tentativo di dar vita a strumenti in grado di creare combinazioni sonore in grado di esprimere emozioni e concetti molto complessi, quasi sicuramente per fini rituali, porta alla creazione inizialmente di strumenti percussivi, in seguito flauti e basilari cordofoni. Da quel momento, l’uomo prende consapevolezza del poter fare musica, di avere a disposizione un metodo di espressione capace di esprimere concetti anche fra diverse tribù (*7). Secondo Rousseau, all'origine delle formazioni linguistiche e musicali fu la melodia a prevalere sull’armonia, in quanto fu dalle passioni che vennero generandosi entrambe le cose: infatti, "i movimenti delle passioni possono essere espressi solo da suoni dal carattere melodico" (*8). La concezione di modi e scale come viene intesa oggigiorno dovrà, però, aspettare migliaia e migliaia di anni. È quasi certo che gli strumenti musicali abbiano avuto la maggiore crescita in ambito religioso, in quanto fin dall’alba dei tempi la connessione fra musica e riti religiosi è forte. Purtroppo, le fonti d’indagine a riguardo sono poche, oltre ad essere molto più recenti rispetto ai flauti ritrovati. Un esempio è quello della grotta di Trois-Frères, nel sud-ovest della Francia, dove è possibile ammirare una rappresentazione di uno sciamano intento a suonare un flauto nasale.

Fonte: https://thinkingonmusic.wordpress.com/tag/trois-freres

Tornando ai flauti di 40.000 anni fa, è possibile notare un primordiale utilizzo delle scale (pentatoniche, secondo alcuni), in un periodo temporale in cui si stava consolidando una struttura linguistica più definita. È possibile che questo processo musicale che andava formandosi abbia influito nella musicalità delle lingue primordiali, oltre che nella creazione di suoni capaci di trasmettere costrutti linguistici, esattamente come la musica riusciva a trasmettere emozioni complesse, collegando l’umano al “divino”. Un ruolo fondamentale potrebbe essere stato giocato dagli sciamani, guide (dirette e indirette) delle piccole comunità formatesi: analizzando vari petroglifi, è possibile notare che essi vengono spesso rappresentati nell’atto di suonare strumenti (*9), utilizzati in rituali e forse anche durante le guarigioni. 
Ovviamente bisogna tener conto della grande differenza di percezione di suoni e “musica” del passato (d’altronde parliamo di più di 50.000 anni fa) rispetto alla nostra. È difficile provare che l’uomo preistorico apprezzasse la musica, e che effettivamente ne avesse cognizione. Questi strumenti potrebbero anche esser stati costruiti esclusivamente per fini rituali esterni ad essa. Ciò non toglie, però, l’importanza che questi uomini dettero agli strumenti, data la cura e la precisione con cui vennero costruiti e decorati. Inoltre, ad accreditare l’ipotesi dell’importanza della musica e dei suoni in queste antiche società, è possibile secondo alcuni studiosi anche evidenziare la quantità di note riproducibili con i flauti prima evidenziati, e la complessità (per l’epoca), oltre che la precisione, delle scale riproducibili (*10)
In conclusione, è possibile affermare che musica e canto abbiano giocato un ruolo essenziale nella creazione dei linguaggi umani. Partendo da quest’ultimo e dal tentativo di esprimere un range di emozioni sempre più complesse, è stato possibile arrivare alle prime concezioni musicali, alla creazione dei primi strumenti e, quindi, alle prime scale musicali. Esse, successivamente, hanno giocato un ruolo importante nella strutturazione di discorsi sempre più complessi, e la concezione di poter articolare melodie potrebbe aver influito sulla definizione di vocali e consonanti, per meglio articolare i dialoghi. L’intervento degli sciamani a regolamentare queste nuove creazioni, e il ruolo importantissimo che giocarono nella costituzione tribale, oltre che l’importanza che ottenne la musica nei rituali, potrebbe aver giocato un ruolo chiave in questo rapporto linguistico-musicale, velocizzando, e forse anche rafforzando, la costruzione linguistica.


(*1) - A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 52 in Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 690-691.
(*2) - Come riferimento a queste informazioni ho usato il libro Language in Prehistory di Alan Barnard (2015).
(*3) - Nel libro Language in Prehistory di Alan Barnard (2015).
(*4) - Anche in questo caso rimando il lettore ad approfondire l’argomento tramite il libro di Barnard.

(*5) - Charles Darwin, The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex, 1871.

(*6) - "Earliest musical instrument discovered". The New York Times. June 24, 2009.

(*7) - Ovviamente, è impossibile sapere cosa spinse realmente l’uomo al fare musica, e ciò che ho riportato è solo una teoria esemplificativa del processo. È importante ricordare che anche il battito delle mani e dei piedi può essere inteso come strumento percussivo. Per approfondimento,  segnalo l’articolo The Origin of Musical Instruments and Sounds di Bo Lawergren (Anthropos, Bd. 83, H. 1./3. (1988), pp. 31-45).
(*8) - Rousseau, Essai sur l'origine des langues, où il est parlé de la mélodie et de l'imitation musicale (1781).
(*9) - Un esempio, già riportato precedentemente, è lo sciamano della grotta di Trois-Frères. 
(*10) - Per questa parte ho preso come riferimento l’articolo di Jelle Atema Old bone flutes (2004).

Andrea "Warrior" Guerriero