giovedì 14 maggio 2020

The Oxford Circle: distorsioni perdute

The Oxford Circle: distorsioni perdute

C'è stato un tempo in cui la musica rock era incentrata sulla distorsione.
Difficile pensarlo ora nell'era dell' elettro pop e della elettronica che ha visto questi generi mischiarsi, e in certi casi fagocitare, il primo, ma c'è stato un lontano periodo in cui la distorsione era il Santo Graal di ogni chitarrista rock.
Sul finire degli anni '50, con i recenti sistemi di amplificazione valvolare e l'invenzione della chitarra elettrica grazie, tra gli altri, al mitico Charlie Christian, si iniziò a capire che la distorsione poteva essere un suono da ricercare, e non solamente un'interferenza da eliminare.
Questo comportava, negli amplificatori mono canali dell'epoca, la necessità di alzare il più possibile il volume di questi sistemi, al fine appunto di far scaldare le valvole finali, ovvero i componenti che avrebbero appunto creato la distorsione del suono.
E di questo parliamo oggi, di distorsione, incontrollata, furiosa e selvaggia, così come dovrebbe essere il rock.

Prendiamo come spunto di questa discussione un gruppo come ce ne sono stati tanti negli anni '60, gli Oxford Circle.
Il nome sembrerebbe derivare da un dormitorio femminile, ma non è ricordato nella storia del rock, se non da qualche appassionato di musica psichedelica a fini enciclopedici.
Non stiamo, infatti, parlando di una pietra miliare del rock, ma appunto di un gruppo solido e credibile, una sorta di clone degli Yardbirds che ha inciso un solo disco live al leggendario Avalon Ballroom nel 1966 prima di cadere nel dimenticatoio.
In quel decennio, così pieno di formazioni, è capitato a diverse band di incidere un solo album per poi sparire per sempre, ma questo non deve ingannarci.
Spesso, infatti, anche questi piccoli album possono riservare elementi molto interessanti, come in questo caso.
Gran parte del repertorio di questi 4 ragazzi (Gary Lee Yoder, Dehner Patten, Jim Keylor, Paul Whaley) viene dal classico serbatoio blues saccheggiato dai bianchi per tutti gli ani '60 e oltre (Led Zeppelin anyone?) con alcune cover appunto degli Yardbirds e alcuni brani orginali registrati in studio peraltro trascurabili.


La componente psichedelica è in realtà marginale nella loro musica ed emerge semmai maggiormente nelle poche tracce in studio con diversi effetti dell'epoca, come ad esempio i nastri registrati all'inverso.
Non si può negare, infatti, che, come per molti gruppi del decennio, la componente live presenti gli elementi più interessanti.
Gli elementi classici sono tutti presenti, una sezione ritmica affiatata, alcune armonie vocali, l'utilizzo dell'armonica e assoli di chitarra lunghi e ben costruiti.

Ciò su cui ci vogliamo però soffermare è, come dicevo, l'utilizzo della distorsione.
Siamo nel 1966 e il mondo non ha ancora visto l'avvento delle distorsioni distruttive degli Stooges.
Certo in quell'anno abbiamo l'avvento di Hendrix con Are you experienced e il suo leggendario uso del feedback di chitarra, ma non possiamo negare che quello che ascoltiamo in quest'album live è un lavoro pioneristico o quantomeno particolarmente fruttuoso della distorsione, lanciata in maniera incontrollata e furente in faccia al pubblico.
Ed è quanto salta subito all'orecchio di questo gruppo, una energia fortemente incendiaria, potremmo dire quasi proto punk, nel lanciare un assalto sonoro al pubblico, sebbene entro i canoni della canzone anni '60.
Esempio lampante l'iniziale "Mystic  Eyes", con i suoi feedback lancinanti di chitarra cavalcanti un ritmo indiavolato sostenuto dall'iniziale ragliare della armonica a bocca.
Possiamo sentire dei notevoli primi esperimenti di switch dei pickup della chitarra, tecnica poi resa celebre diversi anni dopo da chitarristi quali Tom Morello dei Rage Against dei Machine.
Nelle tracce successive, ad esempio in "You're A Better Man than I" la chitarra regala inoltre diversi altri momenti di distorsione selvaggia accompagnata da una sezione ritmica esplosiva.
Sembra quasi che questi ragazzi avessero inziato a intravedere ciò che poi sarebbe diventato il suono chitarristico negli anni '60, con l'avvento del proto heavy metal di gruppi come i Blue Cheer e successivamente consacrato dai Black Sabbath.
Certo quanto sopra detto non è sufficiente ad includere questo gruppo nelle grandi pagine di storia della musica, né si vuole affermare che gli Oxford Circle siano stati i primi ad usare distorsioni pesanti nella loro musica.
Non stiamo affermando che questo gruppo avesse coscientemente contribuito all'utilizzo della distorsione come elemento centrale della musica che sarebbe venuta da lì in poi, ma riteniamo che sia molto interessante ascoltare queste esibizioni calate nel loro tempo.
Questo per dimostrare come nella musica gran parte delle idee che poi avrebbero rivoluzionato i vari generi non sia spuntato magicamente dal nulla, ma sia in realtà fuoriuscito da una sorta di brodo primordiale di varie sonorità poi rese famose ed iconiche da artisti che hanno fatto la storia. 
Quello che l'ascolto di un gruppo del genere ci insegna è che in certi casi le vere rivoluzioni musicali non partono da grandi palchi o da studi di registrazione milionari, ma da un insieme di piccoli gruppi che, in modi diversi, porta avanti un discorso comune attraverso diversi approcci.
Così è stato in tutti i grandi movimenti, basti pensare alla pischedelia degli anni '60, al punk negli anni '70 o alla new wave negli '80.


E chi scrive pensa che questo tipo di approccio possa essere utile ad analizzare anche il genere nella sua dimensione odierna.
Come scritto poco sopra ad oggi il rock ha vissuto numerose commistioni, in particolare con la scena elettronica che spesso ha visto la predominanza nei brani di synth e drum machine. 
Si può discutere all'infinito se il rock sia un genere morto e sepolto, o abbia ancora qualcosa da dire che  vada oltre i meri scopi commerciali, ma non si può negare come ad oggi, la distorsione sia stata quasi bandita dal mainstream del genere, e relegata nell'underground o quantomeno fortemente contaminata da elettronica e synth.
Siamo, quindi, negli ultimi anni di fronte ad una profonda trasformazione del genere, quantomeno a livello mainstream.
E penso che proprio in momenti come questi guardare al passato possa aiutarci non solo a capire, ma anche a costruire come musicisti un futuro in maniera maggiormente consapevole.
Soprattutto nelle scene indipendenti compresa quella italiana, questa riflessione sembra in parte già in atto, forse anche solo a livello inconscio.
Il nostro circuito indipendente è, infatti, così attivo e pieno di spunti interessanti proprio perché un sacco di ragazzi hanno deciso di imbracciare le chitarre e alzare i volumi, proprio come gli Oxford Circle.
Credo non sia un caso che molta della musica dei circuiti underground si rifaccia a quella anni '60 soprattutto nelle sonorità, presentando distorsioni pesanti e feedback violenti.
Non dobbiamo, infatti, dimenticare come il rock è sempre stato un genere in rivolta. In rivolta contro la musica che è venuta prima di lui, in rivolta contro il sistema sociale da cui è nato, in rivolta spesso anche contro sé stesso, basti pensare al contrasto tra il punk e i vecchi gruppi rock anni '70.
Ebbene se poniamo questa come base del genere non possiamo negare che il volume e la distorsione siano stati sempre elementi centrali nel creare l'impatto devastante che questo stile ha avuto sul mondo della musica.
Sarà, quindi, molto interessante vedere in futuro come suoni digitali e analogici,  distorsione e elettronica convivranno e quali evoluzioni questa commistione porterà.
Per adesso possiamo ascoltare la musica di oggi con uno sguardo al passato e agli eco di feedback che questo si porta con sé.

Lorenzo Vicari

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