Blind Willie Johnson: il blues dell'essere umano
Il blues è da sempre tradizionalmente collegato alla più profonda tristezza, tanto da diventare in America un termine che esprime appunto la più profonda depressione.
Questo il concetto che viene costantemente richiamato alla mente appena si parla di questo genere, così profondamente radicato in una specifica area geografica e periodo storico.
A parere di chi scrive quanto sopra esposto rappresenta solamente una minima parte di quanto il blues abbia da dire attraverso i suoi interpreti.
Questo anche perché, come per tutti i grandi generi musicali, abbiamo un’incredibile quantità di declinazioni dello stesso stile.
Risulta difficile individuare anche un nucleo centrale comune a tutti gli interpreti.
Potremmo riferirci all’utilizzo della chitarra come strumento principale, ma staremmo comunque operando una limitazione, basti pensare al gran numero di blues a cappella, o accompagnati dal piano o dalle cosiddette “jug band” che utilizzavano strumenti di fortuna.
Anche a livello concettuale risulta impossibile ricondurre ad unum questo stile.
Sono presenti blues su qualsiasi argomento: la sofferenza umana, la perdita dell’amore, la violenza, l’omicidio, ma anche sull’amore, sulla religione, sulla politica e potremmo continuare per parecchio tempo.
La verità è che, riprendendo quanto sopra accennato, in tutti gli stili musicali, sebbene utile a fini didattici, categorizzare risulta fortemente limitante.
D’altronde, come nella vita di tutti i giorni, risulta rassicurante e semplice per noi associare particolari concetti a determinati argomenti, ma dobbiamo renderci conto che la realtà che ci circonda è molto più complessa e sfumata di quanto vorremmo credere.
E questo risulta ancor più vero nella musica, un linguaggio così universale da fare spesso a meno delle parole per esprimersi.
Nel caso particolare del blues questa globalità di argomenti è facilmente spiegabile: i bluesman parlavano di qualsiasi tema in quanto ciò che cantavano esprimeva la vita nella sua totalità.
E questo era vero in quanto spesso la musica per queste persone era tutto quello che avevano, sia a livello artistico che economico.
Il blues è, infatti, nella sua forma più pura, musica degli ultimi, degli scarti di una società, come quella americana della fine dell’800, basata sulla violenza e priva di qualsiasi tutela per gli emarginati, a maggior ragione se di origine afroamericana.
Riguardo a questo dobbiamo stare attenti anche a non cadere nella facile romanticizzazione di questi artisti considerandoli persone da commiserare o vittime della società.
Sebbene in certi casi questo possa essere vero, non dobbiamo dimenticare che un discreto numero di queste persone era composto da ergastolani, con crimini violenti all’attivo, ladri o semplici truffatori, la cui vita era stata casualmente incrociata dalla musica.
Sottolineo questo aspetto in quanto centrale anche nell’opera dell’artista di cui voglio specificamente parlare in questo articolo: il leggendario Blind Willie Johnson.
Come per molti bluesman abbiamo pochissimi elementi riguardo la vita di questo artista leggendario, in gran parte recuperati da testimonianze ottenute negli anni 50 dallo storico del blues Samuel Charters.
Sappiamo con certezza che, come dice il nome, avesse perso la vista da bambino, probabilmente per dell’acido lanciato dalla compagna del padre durante una accesa lite.
Più discussa è la sua qualifica di pastore della chiesa battista, ma sicuramente Johnson aveva un profondo legame con la religione, come emerge dalle sue opere.
Sappiamo, infine, della povertà sofferta durante la grande depressione, della morte tragica e disperata per febbre malarica.
Nella testimonianze ottenute sembrerebbe che, in seguito all’incendio della casa dove abitava, l’artista sarebbe rimasto a vivere nelle macerie dell’edificio, dormendo coperto solamente da fogli di giornale. Avrebbe, quindi, sviluppato una grave malattia e l’acceso alle strutture gli sarebbe stato impedito in quanto di colore e cieco.
Queste breve premesse servono per capire il micromondo da cui proviene l’opera di Johnson, il quale, sebbene abbia suonato per tutta la vita, ci ha lasciato solamente una manciata di brani, registrati in due diverse sessioni di registrazione.
E quanto emerge dal suo songbook ribadisce in parte quanto in precedenza detto: il blues è musica della vita, che partendo da temi quotidiani e giornalieri arriva ad esprimere messaggi universali, validi per qualsiasi società e per qualsiasi essere umano.
Le canzoni di Blind Willie Johnson parlano, infatti, di religione, drammi personali, amore, guerra e così via.
Questo il concetto che viene costantemente richiamato alla mente appena si parla di questo genere, così profondamente radicato in una specifica area geografica e periodo storico.
A parere di chi scrive quanto sopra esposto rappresenta solamente una minima parte di quanto il blues abbia da dire attraverso i suoi interpreti.
Questo anche perché, come per tutti i grandi generi musicali, abbiamo un’incredibile quantità di declinazioni dello stesso stile.
Risulta difficile individuare anche un nucleo centrale comune a tutti gli interpreti.
Potremmo riferirci all’utilizzo della chitarra come strumento principale, ma staremmo comunque operando una limitazione, basti pensare al gran numero di blues a cappella, o accompagnati dal piano o dalle cosiddette “jug band” che utilizzavano strumenti di fortuna.
Anche a livello concettuale risulta impossibile ricondurre ad unum questo stile.
Sono presenti blues su qualsiasi argomento: la sofferenza umana, la perdita dell’amore, la violenza, l’omicidio, ma anche sull’amore, sulla religione, sulla politica e potremmo continuare per parecchio tempo.
La verità è che, riprendendo quanto sopra accennato, in tutti gli stili musicali, sebbene utile a fini didattici, categorizzare risulta fortemente limitante.
D’altronde, come nella vita di tutti i giorni, risulta rassicurante e semplice per noi associare particolari concetti a determinati argomenti, ma dobbiamo renderci conto che la realtà che ci circonda è molto più complessa e sfumata di quanto vorremmo credere.
E questo risulta ancor più vero nella musica, un linguaggio così universale da fare spesso a meno delle parole per esprimersi.
Nel caso particolare del blues questa globalità di argomenti è facilmente spiegabile: i bluesman parlavano di qualsiasi tema in quanto ciò che cantavano esprimeva la vita nella sua totalità.
E questo era vero in quanto spesso la musica per queste persone era tutto quello che avevano, sia a livello artistico che economico.
Il blues è, infatti, nella sua forma più pura, musica degli ultimi, degli scarti di una società, come quella americana della fine dell’800, basata sulla violenza e priva di qualsiasi tutela per gli emarginati, a maggior ragione se di origine afroamericana.
Riguardo a questo dobbiamo stare attenti anche a non cadere nella facile romanticizzazione di questi artisti considerandoli persone da commiserare o vittime della società.
Sebbene in certi casi questo possa essere vero, non dobbiamo dimenticare che un discreto numero di queste persone era composto da ergastolani, con crimini violenti all’attivo, ladri o semplici truffatori, la cui vita era stata casualmente incrociata dalla musica.
Sottolineo questo aspetto in quanto centrale anche nell’opera dell’artista di cui voglio specificamente parlare in questo articolo: il leggendario Blind Willie Johnson.
Come per molti bluesman abbiamo pochissimi elementi riguardo la vita di questo artista leggendario, in gran parte recuperati da testimonianze ottenute negli anni 50 dallo storico del blues Samuel Charters.
Sappiamo con certezza che, come dice il nome, avesse perso la vista da bambino, probabilmente per dell’acido lanciato dalla compagna del padre durante una accesa lite.
Più discussa è la sua qualifica di pastore della chiesa battista, ma sicuramente Johnson aveva un profondo legame con la religione, come emerge dalle sue opere.
Sappiamo, infine, della povertà sofferta durante la grande depressione, della morte tragica e disperata per febbre malarica.
Nella testimonianze ottenute sembrerebbe che, in seguito all’incendio della casa dove abitava, l’artista sarebbe rimasto a vivere nelle macerie dell’edificio, dormendo coperto solamente da fogli di giornale. Avrebbe, quindi, sviluppato una grave malattia e l’acceso alle strutture gli sarebbe stato impedito in quanto di colore e cieco.
Queste breve premesse servono per capire il micromondo da cui proviene l’opera di Johnson, il quale, sebbene abbia suonato per tutta la vita, ci ha lasciato solamente una manciata di brani, registrati in due diverse sessioni di registrazione.
E quanto emerge dal suo songbook ribadisce in parte quanto in precedenza detto: il blues è musica della vita, che partendo da temi quotidiani e giornalieri arriva ad esprimere messaggi universali, validi per qualsiasi società e per qualsiasi essere umano.
E sebbene vi sia una preponderanza di temi religiosi cari al gospel, anche la religione è vissuta da quest’artista in maniera terrena e tormentata.
Certo in un brano possiamo ascoltare che Dio ci può completare, darci la pace che cerchiamo (I know is blood can make me whole) , ma al tempo stesso ascoltiamo che in certi casi nemmeno l’amore di Dio riesce a curare le sofferenze terrene (Lord, i just can’t keep from crying sometimes).
Quella di Johnson è sì una religione che salva, ma lui stesso, probabilmente proprio per le esperienze vissute in prima persona, si rende conto che questa può in certi casi non essere sufficiente a curare le ferite che la vita può arrecarci.
E da questi traumi il bluesman ci parla direttamente nelle sue canzoni, basti pensare a pezzi come "Motherless Children" o "Trouble will soon be over", per arrivare all’indiscusso capolavoro di Johnson, "Dark Was The Night, Cold Was the Ground", non a caso presente nel disco lanciato nello spazio insieme alla sonda Voyager per mostrare ad eventuali forme di vita aliene i sentimenti umani.
Questo brano ha, infatti, una potenza incredibile, una forza espressiva mostruosa nel comunicare la sofferenza umana, la disperazione, ma anche la speranza, la necessità di amore e comunanza comune a tutto il genere umano.
La voce di Johnson è infatti potente, come quella di un predicatore, e sembra voler esporre chiaramente l'interno della sua anima a chi ascolta, ma al tempo stesso può diventare anche più delicata, richiamando il gospel, genere spesso incrociato col blues.
Ed in particolare in "Dark was the night" quello che sentiamo è un lancinante lamento, l'espressione di un'anima tormentata e abbandonata appunto sulla nuda terra.
Ad accompagnarla rimane solo la slide guitar, tecnica cara a molti bluesman, ma che troverà l'apice nella tecnica di Johnson, a tutt'oggi ancora non pareggiata da nessuno.
Lo strumento nella musica di questo artista diventa, infatti, non solo un mezzo di accompagnamento, ma una vera e propria seconda voce, che spesso e volentieri raddoppia il cantato, oppure crea melodie sue proprie andando a creare un ulteriore livello espressivo.
Chiaro esempio ne è appunto "Dark was the night". La chitarra sembra quasi piangere insieme al musicista. Qui non siamo davanti al gently weeps beatlesiano, il rapporto tra chitarrista e strumento è ben più viscerale, più fisico, ma al tempo stesso più trascendente.
Le corde vengono tirate, strusciate in maniera decisa, con una tecnica che, per mancanza di amplificazione, doveva necessariamente produrre più volume possibile al fine di farsi sentire il più lontano possibile.
Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che spesso le registrazioni di questi artisti venivano fatti con strumenti di fortuna o in condizioni non ottimali.
Eppure la chitarra di Blind Willie Johnson mantiene ad oggi una potenza ed un fascino incredibili, in quanto perfetta e totale estensione di chi la suonava.
Nel pezzo "The soul of a man" l'artista si chiede più volte che cosa sia e di quale materia sia costituita l'anima di un uomo. Ebbene potremmo spingerci a dire che appunto, nel caso di Johnson, proprio la chitarra appare costituire almeno parte dell'anima di quest'uomo così tormentato e al tempo stesso fermo nelle sue convinzioni.
Come sopra accennato, infatti, sebbene non vi sia dubbio che la fede di quest'uomo sia ferma ed assoluta, al tempo stesso nelle sue canzoni non ha mai nascosto la debolezza del genere umano e la sua inadeguatezza di fronte al messaggio divino.
Pezzi come "Nobody's fault but mine", o "Let your light shine on me", esprimono chiaramente l'imperfezione, la debolezza di fronte all'esistenza e la necessità di anelare a qualcosa che sia aldilà di questa esistenza.
E per Johnson, afroamericano battista degli anni '20, quel qualcosa era il Dio cristiano, nel suo amore totalizzante e salvifico.
E come avrebbe potuto essere diversamente, in un mondo come l'America degli anni '20, così spietato e incomprensibile, soprattutto per un afroamericano cieco.
Questa apparente debolezza non deve, però, essere interpretata come mancanza di consapevolezza. La voce di Blind Willie è potente, ferma e piena di decisione.
God don't never change declama in uno dei suoi pezzi più famosi, titolo tra l'altro di un recente album di cover.
Non dobbiamo, inoltre, dimenticare la canzone di protesta "If i had my way i'd tear the building down" con cui, secondo la leggenda, il cantante avrebbe ispirato uno sciopero a oltranza.
Con questi esempi chi scrive vuole far capire che il bluesman di cui stiamo parlando non era un semplice derelitto, ma un artista che era pienamente consapevole della sua potenza espressiva e dell'importanza della sua arte.
Da tutte le canzoni di Johnson traspare sempre una profonda e intima convinzione in quello che viene cantato e suonato, quasi come se lui stesso avesse compreso che quello che cantava sarebbe valso per qualsiasi delle generazioni future.
E così è. Di qualunque provenienza o generazione sia chi si accosta alla musica di questo artista immenso, e purtoppo poco conosciuto al grande pubblico, sopratutto in Italia, non può non essere percepita la profonda comprensione del dramma umano e della sua fragilità, del miracolo esistenziale costituito da una forma di vita così semplice ed al tempo stesso così complessa come è quella umana.
Ed è, a parere di chi scrive, particolarmente rincuorante pensare che, quando questo breve intermezzo nella storia dell'universo sarà scomparso, rimarrà come testimonianza della nostra esistenza questa musica così potente ed al tempo stesso così intima, così delicata e forte, così adatta ad illustrare il miracolo che è stato l'essere umano.
Lorenzo Vicari
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